Guida al Trust: origini e istruzioni

Guida al Trust: origini e istruzioni

La guida al Trust inizia dalle sue origini: il trust è un istituto di matrice anglosassone, sviluppato nei paesi di common law sin dall’epoca medievale ed invece sconosciuto nei paesi di civil law.
Tale istituto è stato riconosciuto in Italia in epoca relativamente recente, in forza dell’art. 12 della Convenzione dell’Aja del 1° luglio 1985, ratificata con la L. n. 364 del 1989.
La necessità di giungere ad un formale riconoscimento del trust anche in paesi in cui esso non sia disciplinato muove dall’esigenza di rendere compatibile la legge regolatrice designata all’interno del trust con la disciplina del Paese no trust in cui siano siti i beni e si esercitino i diritti da esso contenuti, nel caso di specie le norme di diritto italiane. Pertanto sorge il bisogno di regolamentare la presenza di un istituto non codificato dall’ordinamento giuridico nazionale e dei relativi effetti con le norme e principi regolatori interni.
E’ bene chiarire che ancora ad oggi la disciplina trust non gode di una propria normativa in ambito civilistico.

1. CHE COS’E’ IL TRUST

In via preliminare, facendo riferimento a quanto statuito dall’art. 2 della Convenzione, si può affermare che il trust rappresenta uno strumento di manifestazione dell’autonomia privata che consente di sottoporre qualsiasi diritto soggettivo, con atto mortis causa o inter vivos, a disposizione di un altro soggetto, affinché realizzi l’interesse di uno o più beneficiari o raggiunga uno scopo specifico individuato al momento della creazione del Trust.
Da tale prima analisi è comprensibile come il principale beneficio derivante dal ricorso al trust consista nella possibilità di poter destinare una parte o tutto il proprio patrimonio, a discrezione del disponente, ad una certa destinazione, per realizzare un proprio interesse.
Si tratta, dunque, di un istituto duttile e versabile, che può essere impiegato al fine di perseguire i più svariati scopi. Esso trova un fertile campo di applicazione sia nel diritto commerciale, familiare o delle successioni.
Da ultimo, si cita la L. 112 del 2016 c.d. Legge sul dopo di Noi che ha voluto incentivare, mediante concessione di vantaggi fiscali, il ricorso all’istituto del trust volto alla protezione e tutela di soggetti affetti da grave disabilità.
Si sottolinea che il trust non possiede autonomia giuridica, pur avendo una denominazione ed un codice fiscale ed eventualmente una Partita Iva, ma quest’ultimi si limitano a rappresentare adempimenti funzionali all’assolvimento degli obblighi tributari.

 

2. STRUTTURA

La disciplina trust prevede una struttura essenziale generalmente costituita da quattro soggetti:
I. il disponente o settlor, proprietario dei beni conferiti al trust,
II. un trustee, che assuma l’amministrazione del trust, occupandosi della gestione dei beni come previamente concordato con il disponente per il raggiungimento degli scopi prefissati;
III. i beneficiari;
IV. un guardiano o protector.

2.1 Il disponente o settlor

Il disponente-settlor è il titolare dei beni e diritti che si intendono conferire all’interno del trust in quanto strumentali al raggiungimento dello scopo prefissato.
I beni e diritti oggetto del trust non apparterranno più al disponente, che se ne libera, ma faranno capo al trustee, con le limitazioni di cui si dirà a breve. Questo rappresenta il tratto caratteristico e inderogabile dell’istituto in esame; in tal senso l’effetto di segregazione del patrimonio e la protezione da esso goduta può essere ottenuta solo mediante un reale distacco e separazione del disponente dalla gestione del patrimonio disposto in trust.
Il disponente non potrà più esercitare un potere diretto sui beni o un controllo sull’operato del trustee, al di fuori di quanto previsto nell’atto istitutivo; tuttavia, potrà riservarsi il diritto di fornire indicazioni o suggerimenti mediante le c.d. lettere dei desideri, nonostante il trustee non debba essere vincolato al loro rispetto, dovendo mantenere la propria discrezionalità.
Al riguardo l’art. 2 della Convenzione dell’Aja ammette la possibilità per il disponente di riservarsi l’esercizio di alcuni poteri sul fondo in trust al momento dell’istituzione dello stesso, considerandola una circostanza compatibile con l’esistenza di un trust nel limite in cui non contrasti con l’autonomia del trustee, azzerandola.
Ad esempio l’art. 9A della legge di Jersey, come emendata nel 2006, rubricata “Powers reserved by settlor” ha largamente ampliato i poteri che il disponente può riservarsi nell’atto di trust senza che questi intacchino la validità dello stesso e ne ritardino l’efficacia.
Tuttavia i casi in cui la perdita del controllo sui beni sia solo fittizia, in quanto si dimostri che il disponente non abbia mai perso la disponibilità degli stessi, sono indicati con l’espressione sham trust, ovvero trust apparente ma non voluto, quest’ultimo è nullo e inidoneo alla produzione di effetti, (così Cassazione penale, sez. V, 24/06/2014, n. 46137)

2.2 Il trustee

Il trustee, individuato dal disponente o coincidente con lo stesso nell’ipotesi di trust autodichiarato, è il soggetto chiamato ad amministrare il patrimonio secondo quanto stabilito dalle disposizioni del trust.
Chiunque può ricoprire il ruolo di trustee sia una persona fisica sia una società che presti tale servizio.
Al trustee vengono dunque affidati i poteri di controllo e gestione del fondo in trust e ne diviene il titolare ma tale patrimonio non si confonde con quello personale del trustee ed in tal senso emerge il vero vantaggio dell’istituto.
Il fondo in trust costituisce a tutti gli effetti un patrimonio separato che non entra a far parte del patrimonio personale del trustee e per tale motivo non potrà essere aggredito dai creditori personali di quest’ultimo.
Il trustee gode della piena proprietà dei beni ma nonostante ciò non può disporne liberamente ma deve sempre attenersi scrupolosamente al programma del trust come individuato nell’atto istitutivo. Egli può ascoltare e ricevere le raccomandazioni e richieste dei disponenti anche assecondandole purché dimostri di aver agito secondo il proprio giudizio.

2.3 Il beneficiario

Oltre al trust di scopo, il cui fine è costituito dal raggiungimento di un determinato obiettivo, il disponente può scegliere di destinare il fondo in trust o i suoi frutti a dei soggetti beneficiari. Tra questi può esservi ricompreso il disponente, salvo che non sia l’unico beneficiario e al contempo svolga mansioni di trustee, poiché in questo caso verrebbe meno la ratio dell’istituto che, come visto, consiste nel generare una segregazione del patrimonio dal controllo del proprietario.
I beneficiari del fondo o finali sono coloro che hanno diritto a ricevere il patrimonio al termine della durata del trust, ad eccezione di anticipazioni durante l’esistenza dello stesso; mentre i beneficiari del reddito hanno diritto ai frutti del trust. La distinzione tra le due categorie assume rilevanza a livello fiscale.
Riguardo i creditori dei beneficiari, questi non possono aggredire il patrimonio in trust per il solo fatto che il proprio debitore è un beneficiario dello stesso; il diritto ad agire nei confronti del trust è permesso solo nel limite in cui ciò che spetti al beneficiario sia già definito e determinato nell’atto istitutivo. In caso contrario il beneficiario vanta un diritto solo potenziale, che fino alla cessazione del trust non può essere quantificato e, pertanto, non è suscettibile di aggressione da parte di terzi creditori personali del beneficiario.

2.4 Il guardiano

La quarta figura, prevista solo in termini di opportunità, è rappresentata dal guardiano, un soggetto terzo deputato al controllo delle attività svolte dal trustee che può essere nominato e revocato dal disponente. Si tratta infatti dell’unico soggetto la cui attività può incidere su quella del trustee essendo legittimato ad agire contro quest’ultimo in caso di inadempimento. Al guardiano possono essere riservati poteri più o meno ampi, può essere chiamato a prestare il proprio consenso per determinate decisioni assunte dal trustee o può essergli conferito il potere di revocarlo e prevedere la nomina di un sostituto. E’ comprensibile, dunque, il motivo per cui si ritiene la nomina del guardiano un’opportunità , in quanto nominando una persona di propria fiducia si può sopperire all’uscita di scena del disponente, assicurandosi un controllo sull’operato discrezionale del trustee.

 

3. EFFETTI

Il motivo per cui il trust è divenuto uno tra i principali strumenti a protezione e gestione del patrimonio è da rintracciarsi nell’effetto conseguente al suo riconoscimento e consistente nella segregazione del patrimonio costituito in trust sia rispetto ai beni del disponente, nei limiti ex art. 2901 c.c., sia rispetto alla sfera giuridica del trustee.
Richiamando il dettato normativo, l’art. 11 del Convenzione sancisce che: “Tale riconoscimento implica quanto meno che i beni del trust siano separati dal patrimonio personale del trustee” ciò comporta che nonostante il fondo in trust sia attribuito al trustee i suoi creditori personali non possono soddisfarsi su quest’ultimo né i beni entrano a far parte della comunione legale o della sua successione e, da ultimo, non possono essere oggetto di sequestro.

 

4. GIURISPRUDENZA E CRITICITA’

Il riconoscimento e la validità del trust interno non è stata, né lo è ad oggi, automatica e scontata.
I tratti caratteristici dell’istituto, infatti, lo rendono uno strumento che si presta agevolmente alla realizzazione di finalità fraudolente e dirette unicamente ad ottenere una schermatura del proprio patrimonio. Ed è ovvio che tale scopo si pone in palese contrasto con la responsabilità personale patrimoniale, principio cardine dell’ordinamento, sancita dall’art. 2740 c.c., secondo la quale ciascuno è chiamato a rispondere delle proprie obbligazioni con tutti i suoi beni presenti e futuri.
Inoltre, l’art. 18 della Convenzione dell’Aja prevede la possibilità di disattendere le disposizioni e non riconoscere un trust qualora esso si ponga in contrasto con i principi dell’ordinamento nazionale di riferimento.
Pertanto, per ovviare a tale problema, la giurisprudenza ha fatto concreta applicazione di quanto statuito dall’art. 1322 c.c. che sancisce il principio di autonomia contrattuale e la possibilità di fare ricorso a schemi negoziali atipici purché siano diretti a realizzare scopi meritevoli di tutela, negando il riconoscimento a trust ritenuti non ritenuti meritevoli poiché in contrasto con il nostro sistema giuridico.

 

5. IN CONCLUSIONE

In conclusione a questa guida al trust possiamo affermare che quest’ultimo si presenta come uno strumento particolarmente duttile e malleabile, ottimo al fine di raggiungere i più svariati scopi.
Occorre tenere in considerazione che se da un lato esso comporta la perdita del controllo da parte del disponente, dall’altro garantisce la segregazione e protezione del patrimonio oggetto del trust e il suo utilizzo vincolato agli scopi da esso previsti.
Tuttavia è consigliabile tenere sempre in considerazione la meritevolezza degli scopi perseguiti o, in termini giuridici, della causa in concreto, evidenziandoli nella stesura dell’atto istitutivo che deve essere costruito secondo criteri diversi caso per caso e costruiti ad hoc a seconda della specifica esigenza e fattispecie individuale.

Studio commerciale Ricci & Associati
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